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Contraffazione

Fonte:
https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2014/02/21/contraffazione
Si ha contraffazione quando “Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati”.

1. Nozione e caratteri generali

Nel linguaggio comune con il termine contraffazione si fa riferimento ad una molteplicità di atti diretti a produrre e commercializzare prodotti che recano illecitamente un marchio identico ad un marchio registrato oppure la riproduzione – anch’essa illecita - di beni tutelati dal diritto d’autore, meglio nota come pirateria.

Il significato attuale appare dunque ampio e variegato potendosi ricondurre ad ogni uso non autorizzato di elementi distintivi di un prodotto applicata sistematicamente e su grande scala. Al riguardo si segnala la differenza sostanziale del fenomeno della contraffazione tra un periodo risalente ormai a qualche decina di anni fa rispetto a quello attuale.

Nel passato, relativo ad una tipologia di prodotti di lusso, la cui contraffazione garantiva in ogni caso un guadagno rilevante anche con la vendita di questi prodotti in numero ridotto; oggi, relativo ad una produzione di massa di beni di largo consumo contraffatti, come borse, portafogli, giocattoli, abbigliamento in genere e persino beni alimentari. Attualmente sia la contraffazione che la pirateria sono fenomeni di portata internazionale con riflessi di tutta evidenza sul funzionamento del mercato anche con riguardo alla tutela dei consumatori.

Come è possibile osservare comunemente la contraffazione appartiene in un certo senso all’uomo e alla sua storia: basta pensare ai vasi e ai manufatti con sigilli falsificati di epoca romana fino a documenti universalmente riconosciuti falsi come nel caso della Donazione di Costantino o i famigerati Protocolli dei Savi di Sion. Con lo sviluppo della tecnologia e la globalizzazione dei mercati la miscela prodotta risulta travolgente con effetti dirompenti sui traffici.

L’art. 15, comma 1 lett. a) della legge n. 99 del 23 luglio 2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) ha sostituito integralmente l’art. 473 c.p., che, pur riprendendo la previgente formulazione, presenta notevoli modifiche. Per fare un esempio, attualmente risultano espunti dal testo del Codice i riferimenti, presenti in precedenza, alle opere dell’ingegno, collocati agli artt. 171 e 171ter della legge sul diritto d’autore. Con riferimento ai soggetti si segnala l’inserimento nella norma dell’inciso che prevede per l’autore del fatto la possibilità di conoscere l’esistenza del titolo industriale.

Ai fini della commissione del reato di contraffazione di un marchio commerciale, per contraffazione non si intende la modificazione morfologica del marchio o una semplice imitazione, ma si intende la riproduzione, nei suoi elementi essenziali, della denominazione protetta del brevetto (Cass. Pen. n. 8179 del 12.11.1974 in Codice penale annotato con la giurisprudenza, a cura di BELTRANI, MARINO e PETRACCI, Napoli, 2013)

2. Bene – interesse tutelato

Prima della riforma attuata nel 2009, giurisprudenza e dottrina erano concordi nell’individuare la fede pubblica come bene giuridico tutelato dall’art. 474 c.p. (Lattanzi) . Si riteneva, infatti, con riferimento ai marchi che l’elemento decisivo fosse offerto dalla tutela della fiducia dei consumatori in quei mezzi simbolici di pubblico riconoscimento che caratterizzano i prodotti industriali e le opere dell’ingegno nella loro circolazione, in moda da ravvisare il bene giuridico tutelato nell’interesse dei consumatori alla distinzione della fonte di provenienza dei prodotti posti sul mercato (Alessandri).

I reati di cui agli artt. 473 e 474 sono reati contro la fede pubblica, diretti a tutelare quei mezzi simbolici o reali di pubblico riconoscimento che servono a contraddistinguere e garantire la circolazione dei prodotti industriali; per la loro sussistenza occorre che vi sia la contraffazione (riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa) di un marchio o la sua alterazione (imitazione fraudolenta o falsificazione parziale, in modo che esso possa confondersi con quello originario). ( Cass. Pen. n. 1217 del 13.02.1973, in Codice penale annotato con la giurisprudenza, a cura di BELTRANI, MARINO e PETRACCI, Napoli, 2013)

Con la riforma del 2009, date le rilevanti modifiche operate sulla configurazione dei delitti previsti nell’art. 474 c.p., la dottrina propone il superamento del riferimento al bene giuridico della fede pubblica, optando per un oggetto di tutela incentrato, in chiave monoffensiva, sulla proprietà industriale (Manca) o in ogni caso sull’economia pubblica, intesa sia come tutela dei consumatori o come tutela del patrimonio di impresa (Cocco).

Si rileva anche una dottrina minoritaria che afferma la natura plurioffensiva del reato, diretto a tutelare non solo i consumatori ma anche i titolari del diritto esclusivo di uso (Azzali). Non mancano voci contrarie a quest’ultimo orientamento, in quanto il tentativo di concretizzare la “fede pubblica” attraverso l’emersione di beni sottostanti, quali il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’economia pubblica ( Antolisei ), finisce per vanificare la funzione selettiva dell’oggetto di tutela, ampliandone la portata e finendo per essere soddisfatto dell’offesa ad uno solo dei beni invocati (Manca).

Si tratta di reati di pericolo concreto, in quanto per integrare l’elemento oggettivo occorre la specifica attitudine offensiva della condotta, nel senso di un effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori (Marchi). Si esclude, al contrario, in dottrina che si tratti di reati di danno in quanto non occorre la lesione della fede pubblica, cioè non vi è un necessario ed effettivo collegamento tra l’attività illecite e la percezione della stessa da parte del pubblico (Alessandri). Per quest’ultima dottrina si evidenzia in materia di marchi la distinzione tra giudizio di confondibilità ed effettivo contatto del segno con i destinatari. In buona sostanza, la confondibilità dei segni costituisce fattore di distorsione delle scelte del mercato e pertanto connota l’attitudine lesiva della condotta, senza la realizzazione concreta della effettiva confusione.

Il concetto di contraffazione postula una valutazione di confondibilità del marchio contraffatto con quello genuino. Tale valutazione deve essere condotta sulla base di un esame sintetico che tenga conto degli elementi di similitudine e di quelli distintivi, ma soprattutto impressioni di insieme e della specifica categoria di consumatori a cui il prodotto è destinato. (Cass. Pen., sez. V, 27 ottobre 2004, n. 46833 in Codice di diritto penale delle imprese e delle società. Annotato con la giurisprudenza, Di Amato Astolfo, Milano, 2011)

In linea generale l’art. 473 c.p. si inserisce all’interno delle fattispecie di falsità in atti. Si osserva in dottrina che soggetto attivo del delitto in esame possa essere anche il pubblico ufficiale che agisca nell’esercizio delle sue funzioni, anche se non risulta chiaro il motivo per cui nel caso di falsi materiali la sanzione sia meno severa per il pubblico ufficiale rispetto a quella prevista per i falsi in brevetto, trattandosi anche in questo caso di atto pubblico (Cocco).

er il resto valgono le regole comuni alle altre condotte di falso materiale previste dal codice penale. Pertanto per l’integrazione dell’elemento psicologico è richiesta la coscienza e la volontà della condotta insieme alla consapevolezza dell’esistenza di un atto valido. Ammissibile il tentativo.

3. Elemento oggettivo
La condotta sanzionata si concretizza nelle varie forme di falsificazione di marchi altrui. In particolare, secondo il pacifico orientamento dottrinale prevalente, si ha contraffazione quando il marchio altrui sia riprodotto abusivamente oppure venga imitato ( ex multis Alessandri, Manzini, Pedrazzi )

In giurisprudenza si intende per contraffazione la riproduzione integrale del marchio nella sua configurazione emblematica e denominativa e per alterazione la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, quindi in definitiva la riproduzione parziale ma tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo (Cass. Pen. sez. V n. 38068 del 9 marzo 2005).

Non integra il delitto di cui all’art. 473 cod. pen. l’uso di un marchio proprio, anch'esso sia composto, come quello che si assume contraffatto, da lettere alfabetiche in sequenza e sia impresso su calzature con caratteristiche del tutto simili a quelle prodotte dal titolare del detto marchio, non essendovi coincidenza tra il delitto di cui all'art. 473, che richiede che gli altrui marchi siano fatti oggetto di materiale contraffazione o alterazione, e la condotta integrante l'illecito civilistico di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 1, c.c., che richiede come condizione necessaria e sufficiente l'uso di nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con quelli usati da altri o che si imitino servilmente i prodotti altrui.

Come si è visto in precedenza, la nozione di contraffazione richiede una valutazione di confondibilità del marchio contraffatto con quello originario, non potendo tuttavia tale valutazione comprimere la condotta nei confini ristretti della copia o di una controfigura del segno registrato da altri ( Alessandri ). Si tratta di individuare l’indice di valutazione che dà luogo alla tutela di carattere penale e che può essere riassunto nel rischio che la presenza di segni identici o simili possa creare confusione nel mercato dei destinatari.

Nell’ipotesi di cui all’art. 473 c.p. non è necessario, per la ricorrenza del reato, che il marchio contraffatto raggiunga il consumatore individuale in quanto la condotta sanzionata consiste nella contraffazione o alterazione, ovvero nell’uso del marchio o del segno distintivo contraffatto alterato da altri, e detto uso non necessariamente si identifica con la cessione al consumatore potendosi realizzare in una fase anteriore alla collocazione sul mercato del prodotto recante il marchio contraffatto ( Cass. Pen., sez. V, n. 1195 del 5 novembre 2001, in Codice di diritto penale delle imprese e delle società. Annotato con la giurisprudenza, Di Amato Astolfo, Milano, 2011 )

4. Presupposto del reato. La registrazione

Presupposto del reato è la registrazione del marchio nelle forme stabilite dalla legge. In questo caso occorre che siano state osservate le norme poste dall’ordinamento interno o dalle convenzioni internazionali a protezione della proprietà intellettuale od industriale. In buona sostanza, secondo un orientamento giurisprudenziale prevalente, la tutela penale di cui all’art. 473 (e all’art. 474) c.p. deve ritenersi limitata ai soli marchi registrati.

Ai fini della configurabilità dei delitti di contraffazione o alterazione di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali, non è necessario che il segno distintivo di cui si assume la falsità sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge, ma è sufficiente la presentazione della relativa domanda, con la descrizione dei modelli di cui si rivendica l’esclusiva, in quanto essa rende formalmente conoscibile il modello e possibile la sua illecita riproduzione ( Cass. Pen. n. 9752 del 3.3.2009, in Codice penale annotato con la giurisprudenza, a cura di BELTRANI, MARINO e PETRACCI, Napoli, 2013)

Si osserva inoltre che poiché la tutela dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o di prodotti industriali è finalizzato alla garanzia dell’interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore, il terzo comma dell’art. 473 cod. pen. deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la facoltà sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all’esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell’opera dell’ingegno può aversi solo se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale (Cass. Pen. n. 6148 del 2 giugno 1998).

5. Concorso e differenze tra reati
Analizzando la casistica e le diverse fattispecie astratte, la dottrina osserva che il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci di cui all’art. 517 cod. pen. rappresenta una norma sussidiaria rispetto alla previsione di cui all’art. 473 cod. pen. e pertanto possa trovare applicazione esclusivamente in quei casi in cui non sussistano gli estremi della contraffazione (Pedrazzi).

L’art. 473 c.p. si propone di tutelare la fede pubblica contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione o alterazione del marchio o di altri segni distintivi, mentre l’art. 517 stesso codice tende ad assicurare l’onestà degli scambi commerciali contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti. Pertanto per la sussistenza del reato previsto dall’art. 517 è sufficiente l’uso di nomi, marchi o segni distintivi che, senza essere contraffatti, risultano idonei ad indurre in errore i consumatori circa l’origine, la provenienza o la qualità del prodotto. La detta norma incriminatrice prescinde, in sostanza, dalla falsità, rifacendosi alla mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni (Cass. Pen. n. 244 del 4 marzo 1966, in Codice penale annotato con la giurisprudenza, a cura di BELTRANI, MARINO e PETRACCI, Napoli, 2013)

Secondo la giurisprudenza prevalente, il delitto di frode nell’esercizio del commercio di cui all’art. 515 del codice penale può concorrere con il delitto di contraffazione di prodotti industriali, ricorrendone i presupposti, vista la diversa obiettività giuridica dei due reati.

Ai fini della distinzione tra le fattispecie degli artt. 473 e 474 c.p. l’uso di marchi e di segni distintivi punito dalla prima norma, essendo inteso a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto, precede l’immissione in circolazione dell’oggetto falsamente contrassegnato e, comunque, se ne distingue. L’uso punito dall’art. 474 cod. pen., invece, è direttamente connesso con l’immissione in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato, in quanto presuppone già realizzato il collegamento tra contrassegno e prodotto e, più specificamente, già apposto il contrassegno su un determinato oggetto. Nel primo reato la condotta ha per oggetto materiale il contrassegno, nel secondo il prodotto contrassegnato (così Cass. Pen., sez. V, n. 4305 del 24 aprile 1996).

Il delitto di ricettazione è configurabile anche nell’ipotesi di acquisto o ricezione, al fine di profitto, di cose con segni contraffatti nella consapevolezza dell’avvenuta contraffazione, atteso che la cosa nella quale il falso segno è impresso – e con questo viene a costituire un’unica entità – è provento della condotta delittuosa di falsificazione prevista e punita dall’art. 473 c.p. (Cass. Pen. SS.UU., 9 maggio 2001 in Bricchetti, Codice penale e leggi complementari. Giurisprudenza, schemi e tabelle, Milano 2011)

L’uso illegittimo di un brevetto non integra gli estremi del reato di cui all’art. 473 cod. pen., ma quello di frode brevettuale, che sanziona la condotta di colui che, ancorché non responsabile della falsificazione di marchi e brevetti, si attivi in vario modo per commerciare prodotti in violazione del diritto di esclusiva.

6. Profili processuali
Secondo la giurisprudenza prevalente, la contraffazione di marchi e segni distintivi può essere accertata anche attraverso l’escussione di soggetti qualificati che vantino particolari conoscenze in materia , e quindi a maggior ragione a mezzo di consulenti del pubblico ministero, la cui valutazione di attendibilità attiene al giudizio di merito, ed è come tale preclusa in sede di legittimità (così Cass., sez. II, n. 22343 del 11 giugno 2010).

Il presupposto cautelare del fumus commissi delicti nei procedimenti per i reati di contraffazione e alterazione di marchi o segni distintivi è configurabile in fase cautelare, ove questi ultimi risultino depositati, registrati o brevettati nelle forme di legge, non richiedendosi alcuna indagine in ordine alla loro validità sostanziale (così Cass., sez. II, n. 4217 del 2 febbraio 2010).

Bibliografia
Alessandri A., Tutela penale dei segni distintivi, Digesto, IV edizione, Discipline Penalistiche, UTET, Torino, Vol. XIV, 1998.
Antolisei, Sull'essenza dei delitti contro la pubblica fede, in RIDP, 1951
Cocco, Il falso bene giuridico della fede pubblica, in RIDPP, 2010, 68
Floridia, La "mini-riforma" della proprietà industriale, in Diritto industriale, 2009, 461
Roncaglia, La nuova tutela penale dei titoli di proprietà industriale, in RDI, 2010, f. 4-5, 195
Mantovani F., Diritto penale, Parte speciale, I, Padova, 2005;
Messina – Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2011
Pedrazzi, Tutela penale del marchio e repressione della frode, in RDC, 1958, II, 152
Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009.

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